Aspromonte. Dove i pastori parlano il greco

Giuseppe Cillis
15 min readOct 4, 2020

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Gallicianò ed il paesaggio dell’Aspromonte ionico

È incredibile quanta ricchezza possiede il Sud Italia. Una ricchezza che non rientra nella misurazione del PIL ma che comunque ha un valore immenso. Nel mio mondo ideale in cui nel Prodotto Interno Lordo rientrerebbero anche parametri non economici, molti di questi paesi avrebbero una ricchezza superiore a quella di New York. Le parole sembrano esagerate, forse troppo edulcorate… ma come definireste un posto in cui gli anziani pastori parlano il Greco Antico? In cui le credenze popolari sembrano venir fuori dell’Iliade e l’Odissea? In cui da secoli la gente riesce a vivere in un territorio aspro, duro e che metterebbe a dura prova chiunque?

Un racconto di viaggio fatto di parole e foto su questa parte di Calabria che ha sconfitto le leggi del tempo e delle spazio

Non ricordo come ho scoperto l’esistenza di questa posto in Aspromonte. Avevo voglia di un viaggio particolare. In tempo di pandemie, avevo voglia di visitare posti oltre che con poca gente anche con qualcosa di diverso dai soliti luoghi turistici gentrificati. Per cui, alla luce anche delle manfrine delle Grecia nei confronti degli italiani, ho deciso di approfondire i luoghi della Magna Grecia… e girovagando su internet ho scoperto un posto in cui si può respirare la Grecia Antica… ma non nei monumenti, templi, santuari …. ma nelle persone.

Non sono uno storico, sono solo un appassionato che forse enfatizza alcune cose… ma in questi posti davvero il mondo si è fermato. Qui davvero si parla il greco antico. Su internet troverete tanti studi e materiale per cui mi limiterò ad evidenziare solo alcuni aspetti che mi hanno colpito.

Ma andiamo con ordine. Per cercare di farvi capire di cosa sto parlando [si, cercare… perchè l’unico modo per capire davvero di cosa sto parlando è andarci di persona], vi racconto uno dei tanti episodi su come è stato scoperto il “grecanico”, ovvero il Greco di Calabria.

Siamo negli anni ’70. In un Liceo Classico di Reggio Calabria, un professore di greco, dopo alcune lezioni ed aver cominciato a testare le conoscenze degli alunni, si accorge che due di loro riescono non solo a tradurre i testi in greco antico con facilità, ma addirittura riescono a parlarlo in scioltezza!

Dono innato? Genitori docenti? Ripetizioni private? Niente di tutto ciò… i due ragazzi provengono da uno dei borghi più remoti del Mediterraneo, ovvero Gallicianò… uno dei borghi in cui, da più o meno un paio di millenni, gli abitanti oltre all’italiano ed il calabrese, parlano anche un’evoluzione del greco antico!!

Ecco, questo è uno dei tanti eventi, che a partire dagli anni venti ovvero quando effettivamente è stato scoperto il Grecanico da parte di Rohlfs, si sono susseguiti.

Ma quindi questo Grecanico, o Greco di Calabria, cos’è veramente?

Per spiegarlo brevemente [mi scuso per la brevità e la semplificazione ma su internet ed in libreria trovate molto materiale], possiamo dire che si tratta di una vera è propria lingua. Quando la Calabria è diventata Magna Grecia, alcuni coloni si sono addentrati (differentemente da quello che avveniva normalmente) nell’entroterra ed hanno scelto alcune zone impervie ed inaccessibili dell’Aspromonte per insediarsi. Questi insediamenti sono rimasti nello stesso posto per millenni. Le popolazione si sono susseguite, le culture e le lingue anche… ma qualcosa è rimasto… sono rimaste tracce di quel greco che parlavano i primi coloni e che nel tempo si è in parte modificato. La stessa cosa è avvenuta nella penisola greca dove però, il greco antico si è trasformato in greco moderno. Per cui, per concludere, il greco antico ha preso due strade: quella del greco moderno e quella del greco di Calabria che, a tratti ed incredibilmente, è molto più fedele all’originale!

A me questa cosa mi spacca letteralmente il cervello! Penso che succederebbe anche voi se in un posto in cui se dici “Buongiorno” ad una anziana signora, lei ti risponde con “Kalimera”…

Ecco qualche tutorial in stile 2.0 molto simpatico !

Gallicianò: il borgo ellenofono dove a Natale puoi scegliere tra messa cattolica e rito ortodosso

Gallicianò, frazione di Condofuri, 36 abitanti (37 nel periodo in cui ho soggiornato anche io), è l’unico borgo in Italia tuttora interamente ellenofono.

Foto di Giuseppe Cillis

Dopo aver percorso senza intoppi la mitica Autostrada del Mediterraneo (la Salerno-Reggio Calabria), arrivo quasi alla punta più a Sud della Calabria. Il navigatore, posizionato su Gallicianò, mi dice di svoltare a sinistra ma non ci sono cartelli. La strada si restringe sempre di più fino a diventare quasi ad una sola corsia. Ci si addentra nell’entroterra calabrese, in quella parte del Parco Nazionale dell’Aspromonte più arido e secco, in cui il verde intenso che vedete qui e la è dato da qualche rimboschimento che è stato fatto negli anni ‘50/’60 e resti di macchia mediterranea. L’ultimo tratto di Appennino ma che geologicamente non è nient’altro che un pezzo di Alpi che si è staccato e si è andato ad affiancare all’Appennino Lucano. I colori dominanti sono quelli caldi: il giallo delle rocce e dell’erba secca ed il rosso mattone del cisto. Qui e la, gli olivi e gli eucalipti hanno perso le loro sfumature. Curva dopo curva, fosso dopo fosso, strapiombo dopo strapiombo [per un Lucano non è una novità, ma per chi viene dal Nord Italia non sarà un percorso agevole], salgo sempre di più. Il mare si allontana. Ogni tanto si vede nei burroni qualche auto o camion. La pendenza della strada aumenta. Le curve a gomito anche. Gioia per chi soffre di mal d’auto. Ma intravedo Gallicianò. Sulla strada una bandierina della Grecia mi segnala l’ingresso del paese. Sono le 13.00, più o meno 36° ed una umidità notevole. Voi vi immaginate pace, silenzio, quiete ed invece no. C’è un baccano assurdo di cicale et similia.

Foto di Giuseppe Cillis
Foto di GIuseppe Cillis

Da un lato e dall’altro di Gallicianò ci stanno due chiese. La più appariscente è quelle che definisce il caratteristico skyline del borgo. Chiesa cattolica dedicata a San Giovanni Battista, con una facciata molto molto bella e che internamente è stata completamente ristrutturata. Dall’altro lato del borgo, in posizione opposta e poco visibile a distanza, ecco la chiesa ortodossa. Realizzata qualche anno fa ristrutturando una vecchia abitazione, ha permesso alla gente del luogo di officiare il rito ortodosso, fortemente presente e che permane dalla sua introduzione con il dominio bizantino.

Si oppongo, si fronteggiano l’un l’altra ai due versanti del paese. Gli abitanti possono far visita ad entrambe le chiese, stando attenti nel fare il segno di croce nel verso giusto in quanto, quello ortodosso, si fa al contrario… come veniva fatto in antichità. Il pollice, l’indice e il medio sono uniti, a evocare la Trinità consustanziale e indivisibile, mentre l’anulare e il mignolo, raccolti nel palmo della mano, evocano le due nature di Cristo, quella umana e quella divina.

Prima di entrare in ogni chiesa ortodossa (foto sulla destra) bisogna suonare la campana; così tutti gli abitanti sanno che qualcuno sta pregando. Foto di Giuseppe Cillis
Foto di Giuseppe Cillis
Foto di Giuseppe Cillis

Gallicianò ha anche tante altre cose da raccontare. La fontana dell’Amore, il Museo Etnografico ed un’architettura che mixa ruralità, medioevo e mattoni forati a faccia vista. Fateci visita e vi saranno appassionatamente raccontati dalle guide del posto ed in particolare da Mimmo; vero custode dell’immenso patrimonio di Gallicianò.

Foto di Giuseppe Cillis

Avevo programmato di visitare altri paesi grecanici. Alla fine mi sono talmente tanto innamorato di Gallicianò che sono rimasto quasi sempre qui. Ho visitato rapidamente solo la vicina Bova, altro posto fantastico.

Posto a 900metri sul livello del mare, vi permetterà di ammirare un panorama come quello in foto.

La Magna Grecia trasuda ovunque. Dal cibo, alla tradizioni rurali alle credenze popolari. Infatti gli anziani del posto raccontano di queste donne cattive dalla fattezze mostruose, con i piedi d’asino, che vivevano nei valloni e che saltavano di ramo in ramo compiendo malefatte. Il loro nome era Naràde (o Anaràde)… le Nereidi della mitologia greca vi dicono qualcosa… ?

Addirittura si respira Grecia anche nei proverbi! A tal proposito vi consiglio la lettura del libro [consigliato dall’amico Teo]: “Sud Antico — Diario di una ricerca tra filologia ed etnologia” di Emanuele Lelli

Inoltre questo borghetto è incastonato in quel paesaggio di cui vi raccontavo prima. Un territorio che come ho sentito in TV “… bisogna guadagnarselo” … io ci ho provato con qualche escursione…

L’Amendolea: il fiume dove Ercole non riusciva dormire per il troppo frinire delle cicale

Mi sono innamorato della Fiumara Amendolea dopo l’escursione notturna fatta con Noemi ed Andrea di Passi Narranti. Ci hanno portato a scoprire la roccia del Draku, le caldaie del latte ma soprattutto Roghudi vecchio; un paese abbandonato che si trova in una location incredibile. Affascinante, ma con una storia un po’ triste. Il percorso per raggiungerlo è molto bello. Si attraversa una valle rurale in cui querce secolari che si aggrappano agli aspri versanti sembrano volerci difendere da quel territorio così fragile ed angusto. Ad un certo punto la vista si apre su Roghudi Vecchio e sul paesaggio circostante. Una vallate straordinaria in cui l’Aspromonte mostra anche la sua parte magica ed ammaliante. Una fiumara di color argento che taglia il territorio e che cromaticamente spicca in mezzo a questo “deserto di montagna”… come un serpente, striscia tra le asperità delle vallate e che curva dopo curva, rivolo dopo rivolo, arriva fino al Mar Ionio. Su questa fiumara spunta Roghudi Vecchio, abbandonato dopo un’ alluvione negli anni ’70. Un posto assurdo, silenzioso e che incute un po’ timore. Un posto che davvero fa riflettere. L’atmosfera, le storie di Noemi ed Andrea ed il “caos notturno di animali” della fiumara mi hanno fatto innamorare di questo posto e farmi decidere di sfruttare un altro giorno per fare un’escursione che da Gallicianò mi porta nuovamente fin dentro la Fiumara Amendolea.

Ci sarebbe tanto da raccontare. Nel caso decideste di andare vi consiglio vivamente di partecipare alle escursioni organizzate da Passi Narranti per poter apprezzare al meglio questo posto. I posti ed i paesaggi, se raccontati, assumono un diverso sapore ed aspetto.

https://www.nationalgeographic.com/travel/destinations/europe/italy/tour-an-abandoned-village-in-the-hills-of-southern-italy/

UN GIRO NELLA FIUMARA

Qui i sentieri sono gli stessi percorsi ogni giorno, tutto l’anno e da non so’ quanti secoli, dai pastori ed agricoltori. Buttandosi letteralmente giù nel vallone sotto Gallicianò, si comincia a perdere quota. Cisti, arbusti, olivi e rocce mi fanno compagnia. Ad un certo punto la vista si apre. Eccola questa immensa fiumara in cui l’acqua scorre in parte sotto il pietrame ed in parte in minuscoli rivoli che si intrecciano e si sovrappongono. Si continua a scendere e le visuale si apre a 180° su tutta la valle: gli oleandri in fiore che colorano in parte l’argenteo alveo, il Castello Ruffo dell’ Amenodolea e il mare. È un posto che il National Geographic ha definito uno dei più selvatici di Europa. Posso confermare. Le foto forse raccontano meglio delle mie parole.

Foto di Giuseppe Cillis

Gli eroi dell’ Aspromonte: i pastori

Nell’ incipit dell’articolo parlavo di un posto: …che ha sconfitto le leggi del tempo e delle spazio. Una frase un po’ eccessiva ma se considerate quello che ho scritto prima, capite che qui alcune cose sono andate talmente piano che si sono fermate. E lo spazio invece?

Dopo essere tornato a Gallicianò, ho chiesto in paese di passare una giornata con un pastore per chiedergli delle cose e fare due foto. Mi metto in contatto un ragazzo che subito dopo averlo telefonato, corre con il suo scooter e ci organizziamo per l’appuntamento dopo aver bevuto una birra gelida. In cambio, però, mi chiede di dargli anche una mano con il gregge. Me lo dice sorridendo e chiedendomi se sono sicuro … io accetto la provocazione!

Il mio obbiettivo è capire perchè si decide di fare il pastore in Aspromonte. O meglio, perchè si continua a fare i pastori quando ci sono lavori più semplici, meno faticosi e forse anche più remunerativi. Si, perchè penso che fare il pastore in Aspromonte sia una delle cose più faticose che esistano. Basti pensare che non c’è un metro quadrato di pianura, c’è polvere ovunque, il sole brucia e l’aria fresca è un miraggio. Sul ritorno economico meglio stendere un velo. Qui capisco che per fare il pastore in questi luoghi devi avere qualche superpotere.

Il mio nuovo amico mi da’ i compiti. Lo seguo. O meglio… provo a seguirlo. Lui con scarpe antinfortunistiche, un jeans ed una sigaretta sempre accesa; io con abbigliamento tecnico e cose varie. Lui salta e si muove come se davvero fosse una capra. Io, che pensavo di essere allenato, non riesco a stargli dietro. Le pendenze non gli fanno paura, le spine neanche. Le sue pecore (quel giorno era al pascolo solo con i suoi poco più di 100 capi) non hanno scampo. Come si allontanano dal pascolo, lui le rincorre e gli lancia anche qualche pietra con una precisione chirurgica; senza beccarle in testa ma solo sul sedere.

Ma ogni tanto si ferma ad ammirare il paesaggio. Ovviamente fumando una sigaretta.

Ecco. Sono i pastori che hanno sconfitto le leggi dello spazio. La gravità, le pendenze, l’accidentalità del terreno sembrano non esistere. E se considerate che i pastori hanno percorso gli stessi sentieri da millenni… beh concedetemi la metafora!

Ora immaginate queste attività (ed anche altre…) fatte dall’alba al tramonto tutti i giorni dell’anno. Se Ercole era infastidito dalle cicale, c’è qualche eroe greco aspromontano talmente forte che neanche le cicale lo formano…

Siamo lontani dal mito del pastore-poeta decantato da Virgilio nella Bucoliche. Difficilmente vedrete i pastori dell’Aspromonte (ma direi di tutti i pastori) al fresco di un albero mentre suona un flauto. Ma come ci racconta Lelli nel suo libro, sono proprio loro che conservano la memoria storica di quel collegamento tra mondo antico greco/romano e mondo moderno.

Purtroppo il mio amico non parla tantissimo il greco di Calabria e mi dice che ormai i vecchi pastori sono davvero in pochi.

La sera,dopo aver conosciuto anche il fratello più giovane, aver ritirato il gregge ed aver superato con un 6 tirato la “prova di pascolo”, posso fargli qualche domanda sulla sua vita. Tra le tante cose personali, mi dice che a lui piace fare il pastore per il senso di libertà, perchè non deve prendere ordini da nessuno e cose di questo genere. Si sente spesso anche nei documentari in tv. Lo guardo bene negli occhi e glie lo chiedo di nuovo. Vedo un cedimento e per la prima volta da quando ci siamo incontrati, abbassa lo sguardo. Mi ha fatto pensare tanto questa cosa… a voi le dovute riflessioni.

Alla fine ci salutiamo come vecchi amici e gli ho assicurato che ritornerò a salutarlo. Mi ha fatto davvero piacere passare qualche ora con lui.

Ecco anche alcune foto delle famose caprette che troverete qua e la…

Foto di Giuseppe Cillis

PIENSIERI FINALI RANDOM

Se viaggiare è un atto di fede, beh questo viaggio è stato davvero un pellegrinaggio verso un posto sacro.

Non vi nego che, quando ho raccontato ai miei amici e familiari del viaggio in Aspromonte, la prima cosa che mi hanno detto:<< Ma vai da solo in quelle zone? Ne sei sicuro?>> Scrivo dalla Lucania per cui posso parafrasare e rigirare le parole di Luciano De Crescenzo in “Così parlò Bellavista”:<< Si è sempre meridionali di qualcuno>>. Se poi ci mettiamo che quel: <<Ne sei sicuro?>> fa riferimento ad una realtà di qualche decennio fa…

Pregiudizi? Non lo so… è un argomento troppo complicato per banalizzarlo con questo articolo. Ma vi assicuro che in questo caso sono davvero dei pregiudizi senza alcun senso ormai.

Anche qui ci sono i “borghi dell’altrove” come scrive Franco Arminio. Altrove perchè non sono i borghi come San Gimigiano… non si troveranno architetture e forme perfette… e penso che chi ha costruito questi posti non abbia mai avuto la presunzione o la volontà di realizzare qualcosa di diverso… qui i problemi erano altri e l’essenziale era l’unico dictat.

L’essenziale spesso può sembrare inutile, troppo semplice e spesso brutto ed accozzato. Ma solo se lo si guarda singolarmente. Se si guarda tutto insieme ovvero la gente, la storia, il cibo, l’ architettura, le tradizioni… beh, tutto questo sembra, nella suo imperfezione, al proprio posto.

Per concludere vorrei tornare sulla parola aspro….

Aspro come alcuni frutti… difficili da mangiare e gustare… si preferiscono frutti dolci. Tutti mangiano le ciliegie ma non tutti amano le arance. Ma come la scienza ci dice, quando sentiamo nella frutta quel gusto “amaro”, vuol dire che possiede molte virtù positive spesso maggiori di quella dolce…

L’ Aspromonte andrebbe trasformato in un luogo sacro del Mediterraneo. Hot spot di biodiversità [ho volutamente tralasciato la storia dell’Aspromonte come uno dei più importanti rifugi glaciali di specie animali e vegetali], antichità ecologica [a Nord dell’Aspromonte hanno trovato anche la quercia più antica del mondo] e scrigno di diversità culturale.

Una parola per descrivere l’Aspromonte? Antico.

Da ogni viaggio, oltre che qualche souvenir un po’ kitsch o trash (e questa volta è stato davvero trash ve lo assicuro!!), porto con me un paio di ricordi …

Da questo viaggio non scorderò mai quando, ogni sera dopo aver pranzato con la famiglia che mi ha ospitato, la nonnina, mi dava la sua personale buona notte con un tenero “kalinikta”….

Questo viaggio è terminato. Spero di essermi guadagnato un pezzo di Calabria. Un altro pezzo, lo visiterò quanto prima.

Ecco la fantastica famiglia con cui ho avuto il piacere di trascorrere tanti (ottimi) pranzi e cene. La foto non è perfetta, lo so, ma non fa niente … non avevo tempo e voglia di rifarne un’altra perchè non volevo che i maccheroni al ragù di capra si raffreddassero…

ALCUNI VIDEO DI APPROFONDIMENTO

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Giuseppe Cillis
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Written by Giuseppe Cillis

Ricercatore (precario) di paesaggi. Geografo digitale. Mixando vecchie mappe polverose ed i pixel di immagini satellitari. Spettatore in quarta fila

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